L’attività della struttura sanitaria deve conformarsi a criteri di organizzazione e gestione distinti da quelli che governano la condotta del singolo medico.

Conseguentemente l’azienda sanitaria (piuttosto che il centro medico privato) è tenuta a sopportare il rischio della responsabilità per il danno cagionato dal medico che si contraddistingue per il suo carattere oggettivo. La responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale, trova radice, non già in una colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato, “ma nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione” (Cass., 27/03/2015, n. 6243).

Tale orientamento è stato da ultimo confermato dalla sentenza n. 13869 pronunciata il 6.7.2020 dalla Terza sezione della Corte di Cassazione.

Il singolo sanitario, infatti, opera sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l’attività, che sia stabile o saltuaria. La sua negligente condotta non può pertanto essere “isolata” dal complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante.