Patto sul compenso cliente/avvocato: qual è la forma corretta?
Non può ritenersi implicitamente abrogato, dall’art. 13, comma 2, della L. n. 247 del 2012, l’art. 2233 c.c. il quale stabilisce che il compenso spettante al professionista debba essere pattuito per iscritto. Infatti la novità legislativa ha lasciato impregiudicata la prescrizione contenuta nel terzo comma dell’art. 2233 c.c. in base alla cui interpretazione la norma sopravvenuta non si riferisce alla forma del patto, ma al momento in cui stipularlo, ovvero all’atto del conferimento. (Cass. civ., Sez. II, Ord. 16/05/2022, n. 15563).
IL CASO
Un avvocato chiedeva al Tribunale di Padova di condannare il proprio cliente al pagamento dei compensi professionali per l’attività giudiziale dallo stesso svolta in tre processi, quantificando il proprio credito in applicazione del vigente tariffario forense.
Si costituiva l’ente convenuto, non contestando l’esecuzione della prestazione ma opponendo l’esistenza di un accordo tra le parti, che derogava ai parametri previsti dalla legge professionale.
Il Tribunale respingeva parzialmente la domanda attorea ravvisando l’esistenza di detto accordo, che prevedeva un compenso sensibilmente ridotto rispetto alle previsioni del tariffario forense (L. n. 247 del 2012 e successive modifiche).
Seguiva il ricorso avanti la Corte di Cassazione, con cui l’avvocato impugnava la sentenza di merito per contestare che, in realtà, nessun contratto era intercorso con il proprio cliente in quanto alla proposta inizialmente trasmessagli via posta elettronica, il professionista non aveva ricevuto alcun riscontro. Egli deduceva pertanto la mancata stipulazione di qualsivoglia tipo di accordo utile a derogare ai compensi previsti dal tariffario forense, che andava perciò applicato.
LA DECISIONE
La S.C. ha accolto il ricorso così ritenendo: “Sul punto, si deve dare continuità a un recente precedente di questa Corte, nella cui motivazione si legge che l’art. 2233 c.c., “non può ritenersi implicitamente abrogat(o) dalla L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 2: tale norma stabilisce che il compenso spettante al professionista sia pattuito di regola per iscritto. Infatti, secondo l’interpretazione preferibile, la novità legislativa ha lasciato impregiudicata la prescrizione contenuta nell’art. 2233 c.c., comma 3. In base a questa interpretazione, la norma sopravvenuta non si riferisce alla forma del patto, ma al momento in cui stipularlo: essa, cioè, stabilisce che il patto deve essere stipulato all’atto del conferimento dell’incarico (cfr. Cass. n. 11597/2015). Si osserva che se il legislatore avesse realmente voluto far venir meno il requisito della forma scritta per simili pattuizioni, è ragionevole ritenere che avrebbe provveduto ad abrogare esplicitamente la previsione contenuta nell’art. 2233 c.c., comma 3, il quale commina espressamente la sanzione della nullità per quei patti che siano privi del requisito formale ivi prescritto” (Cass., n. 24213/2021). Pertanto, anche a voler ritenere (come fa il Tribunale di Padova nel provvedimento in questa sede impugnato) che la proposta sia da identificarsi nella e-mail dell’avv. M. datata 20.1.2014 (e sia dotata, quindi, della forma scritta), mancherebbe l’accettazione nella medesima forma, posto che – come esattamente nota il ricorrente – dal successivo carteggio intercorso tra le parti non è dato evincere la formazione del consenso sul preventivo di cui alla menzionata proposta.”
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