Con la recente sentenza n. 25684 del 22.09.2021, la Corte di Cassazione afferma che i prelevamenti dal conto cointestato, eseguiti da un coniuge, senza il consenso dell’altro, sono illegittimi, se non concordati.

La vicenda trae origine dall’impugnazione, da parte del contribuente, dell’avviso di accertamento notificatogli per un mancato versamento dell’IRPEF relativa all’anno di imposta 2010; in particolare, gli veniva contestato di non aver dichiarato, nella propria dichiarazione dei redditi, il denaro prelevato dal conto corrente cointestato alla moglie ma alimentato esclusivamente da quest’ultima.

All’esito del procedimento di primo grado, concluso con sentenza favorevole al marito, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana accoglieva l’appello promosso dall’Agenzia delle Entrate; ciò sul presupposto che tali prelievi dovessero considerarsi proventi illeciti e come tali fossero da assoggettare a tassazione ai sensi dell’art. 14, comma. 4, L. 24.12.1993, n. 537.

L’amministrazione finanziaria riusciva, infatti, a dimostrare come il contribuente fosse stato condannato dal Tribunale di Firenze a restituire le somme indebitamente prelevate ed a risarcire i danni subiti dalla moglie a causa di tale indebita appropriazione.

Il marito ricorreva in Cassazione lamentando che la Commissione Tributaria avesse errato nel non ritenere quelle somme frutto di una donazione indiretta, ricevuta dalla moglie.

Nella sentenza la Corte evidenzia che, in linea di principio, quando il conto corrente cointestato è a firme disgiunte, ciascun cointestatario possa operare liberamente, seppur nel rispetto delle previsioni del contratto di conto corrente: versamenti, accrediti di stipendio o di pensione, richieste di bonifici, emissione di assegni, pagamenti automatizzati delle bollette nonché i prelevamenti.

Nei rapporti esterni, se da un lato ciò comporta che nei confronti della banca ciascuno dei correntisti risponda degli eventuali debiti maturati nei confronti dell’istituto di credito, dall’altra parte ne consegue che ognuno possa anche disporre dell’intero saldo residuo sul conto corrente.

La disciplina del rapporto interno è, invece, ben diversa: le parti di ognuno si presumono uguali, cioè appartenenti a ciascuno dei contitolari in pari misura, salvo si dimostri che, in realtà, la titolarità delle somme spettasse unicamente o, comunque, per la maggior parte, ad uno degli stessi.

Seguendo tale principio, la Corte di Cassazione conferma la decisione della Commissione Tributaria Regionale ribadendo che “il versamento di una somma di denaro da parte di un coniuge su un conto corrente cointestato con l’altro coiuge non costituisce di per sè atto di liberalità. Difatti, l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito che risulti essere appartenuta ad uno solo dei contestatari, può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l’esistenza dell’animus donandi, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della detta cointestazione, altro scopo che quello della liberalità” (Cass. civ. 28.02.2018, n. 4862).

I giudici della Suprema Corte sottolineano, inoltre, che ai sensi dell’art. 14, comma 4, della L. n. 537 del 1993, sono da considerare redditi assoggettabili a imposta anche i “proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria“.

Poiché il marito non era riuscito a dimostrare che la moglie avesse inteso fargli una donazione, era stato condannato, con sentenza resa dal Tribunale, a restituirle il denaro prelevato ed a risarcirle i danni patiti, sicché quelle somme dovevano considerarsi illecito civile e, come tale, l’Agenzia delle Entrate le aveva correttamente sottoposte a tassazione.