La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9359 del 08.04.2021 si è pronunciata sulla possibilità di usucapire un bene comune da parte del coerede

IL CASO

Tizio, unitamente alla madre, alla zia e alla sorella, riceveva in eredità la comproprietà dell’immobile presso cui trasferiva la propria residenza, occupandolo in via esclusiva.

Su tale presupposto, rivendicava il diritto di averne usucapito le quote di competenza degli altri compartecipi, precisando di aver detenuto, da solo, le chiavi di detto immobile. Agiva, dunque, in giudizio, avanti il Tribunale di Roma, chiedendo l’accertamento dell’intervenuta usucapione del diritto di proprietà dell’intera abitazione.

Le coeredi si costituivano in giudizio domandando, in via principale, la reiezione della domanda avversaria e, in via riconvenzionale, la condanna di Tizio al pagamento, in loro favore, dell’indennità da illegittima occupazione. Sostenenvano infatti che il parente non avesse titolo per abitare, in via esclusiva, l’immobile comune.

Il Tribunale di Roma, pur non accogliendo la domanda riconvenzionale delle convenute, respingeva la domanda di usucapione dell’attore.

Quest’ultimo impugnava la sentenza avanti la Corte d’Appello, che accoglieva il gravame e dichiarava l’appellante proprietario esclusivo dell’intero immobile. Il giudice riteneva che si potesse desumere la sussistenza della volontà di Tizio di escludere l’altrui godimento dalla mancata disponibilità delle chiavi in capo alle appellate. In aggiunta, secondo la corte, la lunga permanenza del ricorrente presso l’immobile era idonea ad escludere il requisito della tolleranza da parte delle comproprietarie.

Il caso veniva quindi sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione, che veniva chiamata ad indicare gli elementi al ricorrere dei quali si può affermare che l’agente cessi di possedere in qualità di contitolare ed inizi a possedere il bene come se ne fosse proprietario esclusivo.

In linea di principio, ai sensi dell’art. 1102 c.c., “il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso“.

Stando alla giurisprudenza prevalente, nelle ipotesi di comproprietà, il possesso utile a far acquistare il diritto di proprietà esclusivo sull’intero bene deve manifestarsi all’esterno mediante comportamenti idonei ad escludere l’altrui godimento e, quindi, palesemente incompatibili con una situazione di compossesso.

A tal fine non è sufficiente il mero godimento prolungato del bene ma è necessario l’utilizzo dello stesso alla stregua di un proprietario esclusivo, al di fuori delle ipotesi di tolleranza da parte degli altri comproprietari (art. 1144 c.c.).

L’orientamento maggioritario ritiene inoltre possano individuarsi, presuntivamente, atteggiamenti di tolleranza solo nell’ambito di condotte caratterizzate da occasionalità, saltuarietà e scarsa rilevanza nei rapporti tra amici o di vicinato. Diversamente, in presenza di un rapporto di parentela, si ritiene possano ricadere sotto l’ombrello della tolleranza e siano quindi idonei ad escludere l’usucapione, anche comportamenti protratti per un lungo periodo di tempo.

LA DECISIONE

La Corte di Cassazione, con sentenza 08.04.2021 n. 9359, confermando l’orientamento sopra delineato, accoglie il ricorso delle comproprietarie sottolinenado che il coerede, che sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, “a tal fine, però egli, che già possiede animo proprio e a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus non essendo sufficiente l’astensione degli altri partecipanti dall’uso della cosa comune” (Cass. civ. 08.04.2021 n. 9359).

Quanto alla tolleranza da parte degli altri compossessori, la Suprema Corte ribadisce che “in tema di usucapione, per stabilire se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l’altrui tolleranza e sia quindi inidonea all’acquisto del possesso, la lunga durata dell’attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell’esclusione della tolleranza qualora non si tratti di rapporti di parentela, ma di rapporti di mera amicizia o buon vicinato, giacchè nei secondi, di per sè labili e mutevoli, è più difficile, a differenza dei primi, il mantenimento della tolleranza per un lungo arco di tempo” (Cass. civ. 08.04.2021 n. 9359)