Con la recente sentenza n. 13252 del 08.04.2021, la Corte di Cassazione Penale è intervenuta a chiarire la distinzione tra gli atti ingiuriosi e quelli diffamatori, compiuti tramite messaggi di posta elettronica.

La vicenda nasceva da una e-mail, inviata dall’imputato, a dieci persone (facenti parte di un “vecchio” gruppo di lavoro), oltre che alla parte offesa di nome L.F..

Il messaggio era evidentemente offensivo: “ecco 1gallina che ha fatto l’uovo: L.F.”; “perchè tutti lo sanno che sei uno stronzo, lo faccio per evitarti i sorrisetti che inevitabilmente compariranno sui loro volti Ringraziamo di questo Addio cazzone“.

All’esito del processo d’appello veniva accolta la domanda della parte civile, che otteneva la condanna dell’imputato, per il reato di diffamazione, a corrisponderle la somma di 5.000,00 euro a titolo di ristoro dei danni subiti.

La questione di diritto veniva rimessa al vaglio della Suprema Corte, su ricorso dell’imputato, il quale (per quel che qui rileva) contestava l’ipotesi della diffamazione in quanto la persona offesa era un componente del gruppo destinatario delle e-mail che, pertanto, aveva percepito l’offesa quasi “in tempo reale“, come dimostrato dalla successione dei messaggi intercorsi.

In punto di diritto la Corte di Cassazione si è pronuciata ritenendo che “l’e-mail a contenuto diffamatorio diretta all’offeso e ad altri destinatari (almeno due) configura il reato di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese, atteso che le e-mail non sono altro che lettere in formato elettronico recapitate dalla casella di posta del mittente a singoli destinatari, non contestualmente presenti

Il giudice di legittimità ha rilevato di aver da tempo ritenuto che “la missiva a contenuto diffamatorio diretta all’offeso e ad altri destinatari (almeno due) configura il reato di diffamazione, stante la non contestualità del recepimento delle offese (Sez. 5, n. 18919 del 15 marzo 2016, Laganà, Rv. 266827; Sez. 5, n. 44980 del 16 ottobre 2012, Nastro, Rv. 254044); a seguito dell’abolizione del reato di ingiuria, finisce per confluire nel medesimo orientamento anche quello più tradizionale che ravvisava, in dette comunicazioni, oltre al reato di diffamazione (indubbiamente sussistente) anche, e in concorso con esso, il reato di ingiuria, ora depenalizzato (tra le altre Sez. 5, n. 48651 del 22 ottobre 2009, Nascè, Rv. 245827; Sez. 5, n. 12160 del 4 febbraio 2002, Gaspari, Rv. 221252)“.

La Corte ha sottolineato che nella valutazione dell’atto ingiurioso e di quello diffamatorio “la presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso e spettatori” costituisce la scriminante tra le due fattispecie, che si possono così schematizzare:

– l’offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone;

– l’offesa diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario; se la comunicazione “a distanza” è indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, si configura il reato di diffamazione;

– l’offesa riguardante un assente comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.”

il Collegio ha inoltre rilevato che alla presenza fisica sia sostanzialmente equiparabile quella realizzata con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici (call conference, audioconferenza o videoconferenza):

2.2.1. I numerosi applicativi attualmente in uso per la comunicazione tra persone fisicamente distanti non modificano, nella sostanza, la linea di discrimine tra le due figure come sopra tracciata, dovendo porsi solo una particolare attenzione alle caratteristiche specifiche del programma e alle funzioni utilizzate nel caso concreto.

Molti programmi mettono a disposizione degli utenti una variegata gamma di servizi: messaggistica istantanea (scritta o vocale), videochiamata, chiamate cd. “VoIP” (conversazione telefonica effettuate sfruttando la connessione internet). Sono state sviluppate diverse piattaforme per convocare riunioni a distanza tra un numero, anche rilevante, di persone presenti virtualmente. Le medesime piattaforme permettono di scrivere, durante la riunione, messaggi diretti a tutti i partecipanti, ovvero a uno o ad alcuni di essi.

Per tale ragione il mero riferimento a una definizione generica (chat, call) o alla denominazione commerciale del programma è, di per sè, privo di significato e foriero di equivoci, laddove non accompagnato dalla indicazione delle caratteristiche precise dello strumento di comunicazione impiegato nel caso specifico.

2.2.2. Come detto, rimane fermo il criterio discretivo della “presenza”, anche se “virtuale”, dell’offeso; occorre dunque ricostruire sempre l’accaduto, caso per caso: se l’offesa viene proferita nel corso di una riunione “a distanza” (o “da remoto”), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l’offeso, ricorrerà l’ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato). E’ questo, ad esempio, il caso deciso da Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742, che ha qualificato come ingiuria l’offesa pronunciata nel corso di un incontro tra più persone, compreso l’offeso, presenti contestualmente, anche se virtualmente, sulla piattaforma Google Hangouts.

Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all’offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti” (in accezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto”), ricorreranno i presupposti della diffamazione.

2.3. Nella fattispecie – a parte una e-mail inviata solo all’offeso – l’imputato è stato condannato per il delitto di diffamazione per aver spedito all’offeso e ad altre dieci persone una e-mail contenente epiteti palesemente offensivi (“sei uno stronzo”, “Addio cazzone”) rivolti alla persona offesa indicata per nome (” L.F.”).

2.3.1. In sostanza le e-mail non sono altro che lettere in formato elettronico recapitate dalla casella di posta del mittente a singoli destinatari, non contestualmente presenti.

Deriva che nel caso quale quello in rassegna – di invio di una e-mail, dal contenuto offensivo, destinata sia all’offeso sia ad altre persone (almeno due) – è ravvisabile il delitto di cui all’art. 595 c.p., in ossequio al medesimo principio enucleato dalla Corte di cassazione per la corrispondenza tradizionale (cfr. sopra paragrafo 2.1.).

2.3.2. In tal senso si pone il più recente e prevalente orientamento di legittimità, secondo cui l’invio di e-mail a contenuto offensivo integra il reato di diffamazione anche nell’eventualità che tra i destinatari del messaggio di posta elettronica vi sia l’offeso (Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011, De Felice, Rv. 250459; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Nastro, Rv. 254044; Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017, Segagni, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, Badalotti, non massimata; Sez. 5., n. 311 del 20/09/2017, dep. 2018, Orlandi, non massimata; Sez. 5, n. 14852 del 06/03/2017, Burcheri, non massimata).

Di particolare interesse le motivazioni:

– della sentenza Segagni (Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017, cit.) che rileva come i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di corrispondenza tradizionale rimangano validi “anche qualora la corrispondenza con più destinatari avvenga per via telematica, in quanto, se è vero che la digitazione della missiva avviene con unica azione, la sua trasmissione si realizza attraverso una pluralità di atti operati dal sistema e di cui l’agente è ben consapevole”;

– della sentenza Badalotti (Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, cit): “Tali conclusioni (sulla configurabilità della diffamazione ne/le comunicazioni a distanza diretta a più persone oltre all’offeso) non mutano se alla comunicazione epistolare tradizionale si sostituisce, per effetto dell’evoluzione tecnologica, l’invio di una missiva per posta elettronica che includa fra i destinatari sia la persona offesa, sia gli ulteriori soggetti portati a conoscenza dell’offesa, trattandosi di strumento moderno che realizza, con semplicità ed efficacia esponenziali, il medesimo risultato in passato ottenuto con l’invio di una pluralità di lettere a più destinatari. Ed anche in questo caso, occorre notare per chiarezza, l’autore pone in essere una condotta specifica rivolta a comunicare il messaggio a ciascuno dei destinatari prescelti, digitando il suo indirizzo di posta elettronica nell’apposita casella, e sorregge psicologicamente tale azione con coscienza e volontà, rappresentandosi e volendo le conseguenze della condotta realizzata”.

Alla luce di tale assetto giurisprudenziale, possono ritenersi definitivamente superate le decisioni di segno contrario (Sez. 5, n. 16425 del 10/04/2008, Gabardo, Rv. 239833 e Sez. 5, n. 24325 del 20/04/2015, R., Rv. 263911, quest’ultima, per il vero, solo apparentemente difforme, posto che, come osserva Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, Badalotti: “risulta esclusivamente focalizzata sulla volontà offensiva del mittente, in concreto esclusa per i pessimi rapporti fra destinatario della lettera e persona offesa, e resa in un contesto in cui non era prospettabile la diffamazione perchè la lettera era stata indirizzata a una sola persona”).

2.3.3. Ne consegue che la condotta dell’imputato si inquadra nel reato di diffamazione“.