Con la sentenza  n. 21612 del 28/07/2021 la Corte di Cassazione Sez. II. Ord ha precisato che l’accertamento del requisito della comoda divisibilità del bene, ai sensi dell’art. 720 c.c., è riservato all’apprezzamento di fatto del giudice del merito il quale può motivare la conclusione della non comoda divisibilità ove abbia riscontrato “l’elevata misura dei conguagli altrimenti dovuti fra le quote da attribuire“.

Il caso riguarda una domanda giudiziale con cui un coerede agiva in Tribunale e, poi, in Corte d’Appello, per ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria con il fratello, effetto dell’apertura di successione per la morte del genitore.

In linea di principio, qualora venga richiesta la divisione ereditaria “ciascun condividente ha diritto di chiedere la sua parte in natura dei beni mobili e immobili dell’eredià“. Ciò è previsto dall’art. 718 c.c., che, tuttavia, fa salve le disposizioni previste nell’articolato successivo.

In particolare, nell’ambito dello scioglimento della comunione ereditaria avente ad oggetto beni immobili, costituisce principio tradizionalmente affermato dalla Suprema Corte quello per cui l’art. 718 c.c. va derogato, ai sensi dell’art. 720 c.c., non solo nel caso di mera “non divisibilità” dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano “comodamente” divisibili.

Tale situazione ricorre nei casi in cui, pur risultando il frazionamento dell’immobile materialmente possibile, “non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l’aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell’intero” (Cass. n. 14577/2012; Cass. n. 25888/2016).

Con la sentenza  n. 21612 del 28/07/2021, la Corte di Cassazione Sez. II. Ord sottolinea che la “non comoda divisibilità” va dichiarata anche in caso di conguagli eccessivamente onerosi.

In tal senso, precisa la Corte, “il giudice, nello scegliere, fra più progetti di divisione, quale approvare, ben può privilegiare quello che limita al massimo la misura dei conguagli, così assicurando che la quota sia prevalentemente formata in natura“.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che, in presenza di due immobili aventi una notevole differenza di valore, li ha assegnati ad uno solo dei condividenti sul presupposto che una divisione che avesse previsto due quote formate, ognuna, da uno dei beni avrebbe comportato il versamento di un conguaglio tale da assorbire in modo significativo una delle due quote, vanificando in tal modo l’obiettivo dell’effettiva divisione in natura.

Inoltre il Giudice non ha mancato di ricordare che l’art. 720 c.c., nel disciplinare l’ipotesi in cui l’immobile oggetto di comunione non sia divisibile o comodamente divisibile, a prescindere dal fatto che le quote dei condividenti siano o meno eguali, configura la vendita all’incanto come rimedio residuale cui poter far ricorso soltanto quando nessuno dei condividenti voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell’intero compendio.

Da ultimo, nel caso di condividenti numerosi, vige il principio di attribuzione al “quotista di maggioranza”, che può essere rappresentato anche dalla sommatoria delle quote di più condividenti che chiedano l’attribuzione del bene, con quota congiunta.

Invero, precisa la S.C., detta norma prevede che in caso di immobili non comodamente divisibili “essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno o più coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedano congiunamente l’attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all’incanto