Con l’ordinanza n. 20227 del 23.06.2022, la Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento già consolidato nell’ambito della concorrenza sleale, secondo cui “L’apprezzamento sulla confondibilità (tra prodotti o servizi) va compiuto dal giudice accertando non soltanto l’identità o almeno la confondibilità dei due segni, ma anche l’identità e la confondibilità tra i prodotti (o servizi), sulla base quantomeno della loro affinità; tali giudizi non possono essere considerati tra loro indipendenti, ma sono entrambi strumenti che consentono di accertare la cosiddetta “confondibilità tra imprese”.

In linea di principio, solo perando in tal modo, il Giudice potrà compiutamente accertare la sussistenza dell’illecito della contraffazione.

Innanzitutto, la S.C. si è soffermata sulla nozione di prodotti “affini”, definendoli, alla stregua di orientamenti giurisprudenziali consolidati, come quei “prodotti o servizi che, per la loro natura, la loro destinazione alla medesima clientela o alla soddisfazione del medesimo bisogno risultano in misura rilevante fungibili e, pertanto, in concorrenza, cosicché la mancanza di distinzione precisa tra i segni che li identificano nel mercato comporta il rischio della confusione e, dunque, della illecita aggressione all’altrui avviamento e all’altrui clientela”.

La giurisprudenza di legittimità ha specificato anche cosa debba intendersi per specifica “identità delle esigenze che spingono all’acquisto dei prodotti di cui si afferma l’affinità merceologica” statuendo che essa “non può, tuttavia, essere ancorata a criteri eccessivamente generici (quali l’esigenza di vestirsi, sfamarsi, dissetarsi, leggere, etc.)”.