In seguito ad un incidente stradale, perdeva la vita un giovane che, dopo esser caduto autonomamente dalla propria motocicletta, veniva investito dalle auto che in quel momento transitavano sulla provinciale.

Agivano in giudizio gli eredi del giovane, chiedendo al Tribunale di Treviso la condanna delle diverse Compagnie Assicuratrici a provvedere al ristoro di tutti i danni patiti per effetto della perdita del congiunto.

Il giudice rigettava la domanda ritenendo che, escluso il coinvolgimento di altre vetture, l’unico mezzo coinvolto fosse risultato quello condotto da C.S., nei confronti del quale il giudice penale aveva tuttavia emesso sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto.

La Corte di Appello di Venezia confermava la sentenza di primo grado e, dopo un ulteriore discussione sul merito della vicenda, conseguita ad un primo provvedimento di cassazione con rinvio, la corte veneziana rigettava nuovamente la richiesta risarcitoria sull’assunto che «il S., conducente della Renault 5, che ha cagionato il decesso dello Z., al momento del sinistro ha fatto tutto il possibile per evitare l’evento, che, pertanto, non risulta a lui imputabile ma alla grave situazione di pericolo creata dall’imprudente condotta di guida del conducente del motociclo».

Il giudice di secondo grado pertanto concludeva per «l’integrale responsabilità del danno a carico del conducente del motociclo che ha creato sulla strada, con un’imprudente condotta di guida, la situazione di pericolo grave e imprevedibile, determinando pertanto l’evento».

Il caso veniva nuovamente rimesso all’attenzione della Suprema Corte.

Con l’ordinanza 11 ottobre 2021, n. 27515 la Cassazione ha rigettato il ricorso dichiarandolo inammissibile dopo aver riscontrato che era stata disattesa, dalla corte territoriale, l’ipotesi secondo cui la presenza del corpo del giovane motociclista e del veicolo incidentato sull’asfalto avessero potuto costituire, per l’automobilista, una evidenza e una causa di facile percepibilità della situazione di pericolo, cui porre rimedio.

In punto di diritto, il giudice di legittimità ha affermato che l’art. 2054, comma 1 c.c. prevede una presunzione di responsabilità a carico del conducente di un veicolo, coinvolto in sinistro stradale, il quale può, tuttavia, scagionarsi, dimostrando “di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno“.

Il presupposto di tale meccanismo consiste nell’esistenza del nesso causale fra la guida del veicolo e il danno cagionato a persone o a cose. La norma prevede pertanto una presunzione di colpa che può essere superata soltanto dimostrando, appunto, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Tuttavia tale presunzione di colpa, ove non superata, lascia aperta la possibilità di valutare la responsabilità concorsuale in capo al danneggiato, in caso di una sua condotta colposa, ai sensi dell’art. 1227, comma 1° c.c..

Più precisamente, la Suprema Corte ha stabilito che: “Va quindi data continuità al consolidato principio di legittimità secondo cui «la presunzione di colpa del conducente di un veicolo investitore, prevista dall’art. 2054, comma 1, c.c., non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana, e dunque non preclude, anche nel caso in cui il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione, l’indagine sull’imprudenza e pericolosità della condotta del pedone investito, che va apprezzata ai fine del concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., ed integra un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da adeguata motivazione». Tale principio non è stato contraddetto, a ben vedere, da Cass. n. 5627/2020 (richiamata dalla ricorrente); che, dopo aver confermato «in astratto l’applicabilità dell’art. 1227, primo comma c.c. anche ad un’ipotesi di responsabilità presunta come quella del conducente», ha affermato – con riferimento alle peculiarità del caso esaminato – che, «qualora la situazione di pericolo è di tale evidenza da poter essere superata con l’uso della normale diligenza, non deve essere ritenuto responsabile dell’incidente chi ha posto in essere la situazione di pericolo»: e ciò sulla base di una valutazione di sostanziale irrilevanza causale della condotta del danneggiato, in quanto assorbita dalla successiva condotta colposa del conducente; il richiamo a tale precedente – tarato sulla specificità del caso – non giova tuttavia alla ricorrente, che, in più passaggi, dà per presupposte -nella fattispecie qui esaminata- una evidenza ed una facile percepibilità della situazione di pericolo che la Corte territoriale non ha affatto apprezzato come tali: invero, la sentenza – per un verso – esclude che la parte convenuta abbia fornito la prova liberatoria richiesta dall’art. 2054, comma 1, c.c. (affermando che «sussisteva una concreta prevedibilità per il S. della presenza di un corpo sull’asfalto, in ragione della presenza del veicolo incidentato», e che «ciò avrebbe imposto al conducente di moderare ulteriormente la velocità») e – per altro verso – valuta e accerta il (prevalente) concorso causale della condotta colposa della vittima, senza mai sostenere che la situazione del campo del sinistro fosse tale da evidenziare una sicura evitabilità dell’investimento da parte del conducente dell’autovettura.