La condotta  dell’amministratore di sostegno che si appropri indebitamente del denaro del beneficiario, integra il reato di peculato di cui all’art. 314 c.p., sanzionato con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi nonché, ai sensi dell’art. 317 c.p., con “l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e l’incapacità in perpetuo di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio”.

Con la sentenza 31378 del 22.08.2022 la Corte di Cassazione conferma  l’orientamento che attribuisce all’amministratore di sostegno  “una funzione di utilità collettiva volta alla protezione degli interessi di soggetti fragili, sia pure con infermità o problematiche di minore intensità di quelle residualmente tutelabili con gli istituti della interdizione e della inabilitazione”.

Un tanto sul presupposto che “la relativa attività trova la propria disciplina regolativa in un complesso di disposizioni del codice civile (che vanno dall’obbligo di prestazione del giuramento, all’obbligo annuale di rendiconto, alle limitazioni alla capacità di ricevere per testamento e per donazione, al regime delle autorizzazioni e degli atti dispositivi vietati), che ne consentono la assimilazione al munus publicum del tutore, da cui l’istituto in questione si distingue essenzialmente per la maggiore flessibilità e l’agilità della relativa procedura applicativa” (Cass. Civ., Sez. 1 n. 13584 del 12.06.2006; Cass. civ., Sez. 1 4866 del 01.03.2010).

La S.C. precisa che “il reato non sia ravvisabile a seguito del solo mancato rispetto delle procedure previste per l’effettuazione delle spese nell’interesse dell’amministrato, postulando una condotta appropriativa o, comunque, che si risolva nell’uso dei fondi o dei beni per finalità estranee agli interessi dell’amministrato“.