Per escludere dalla comunione legale l’immobile acquistato dopo il matrimonio da uno dei coniugi non è sufficiente che l’altro coniuge, non acquirente, abbia partecipato all’atto, ma è necessaria una dichiarazione ben circostanziata sulla provenienza del denaro utilizzato per l’acquisto in questione.

In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione che, con  l’ordinanza  n. 35086 del 29.11.2022, ha così:“Nel caso di acquisto di un immobile effettuato dopo il matrimonio da uno dei coniugi in regime di comunione legale, la partecipazione all’atto di acquisto dell’altro coniuge non acquirente, prevista dall’art. 179, secondo comma, cod. civ. non può assumere portata confessoria qualora la dichiarazione del coniuge acquirente, ai sensi dell’art. 179, primo comma, lett. f), cod. civ., che i beni sono stati acquistati con il prezzo del trasferimento di beni personali non contenga l’esatta indicazione della provenienza del bene da una delle diverse fattispecie di cui alle lettere a), b), c), d, e, del medesimo art. 179 cod. civ.. In mancanza di tale indicazione, l’eventuale inesistenza dei presupposti che escludono il bene acquistato dalla comunione legale può essere fatta valere con una successiva azione di accertamento della comunione, senza alcun valore confessorio della dichiarazione adesiva del coniuge non acquirente ex art. 179, secondo comma, cod. civ.”.

La corte ha precisato che Definire come semplicemente personale il denaro con cui si è adempiuta l’obbligazione del prezzo esprime una qualificazione giuridica e come tale, insuscettibile di confessione, oltre che non vincolante per l’interprete, potendo anche discendere da un errore di diritto del dichiarante.