La Corte di Cassazione con sentenza 12 febbraio 2021 n. 3684 è stata chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di derogare pattiziamente alle norme dettate dalla legge in materia di distanze legali tra gli edifici, su fondi confinanti.

IL CASO

Tizo, Caio e Sempronio proponevano ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia che li aveva condannati alla demolizione della porzione di tetto dagli stessi sopraelevata in violazione delle distanze previste dalle norme tecniche di attuazione del regolamento edilizio comunale.

I ricorrenti si dolevano, in particolare, della mancato apprezzamento, da parte della Corte territoriale, della dichiarazione unilaterale con cui i proprietari della casa adiacente a quella su cui era stata realizzata l’opera avevano autorizzato, per iscritto, la realizzazione del sopralzo.

La Suprema Corte, richiamando la pronuncia della seconda sezione della Corte di Cassazione del 05.03.2018, n. 5049, coglie innanzitutto l’occasione per ribadire che “una sopraelevazione, quale quella accertata dai giudici di merito (sopralzo di 55-65 cm del colmo del tetto al confine fra le proprietà: pagine 18 e 19 della sentenza impugnata) deve essere considerata come nuova costruzione e può essere di conseguenza eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali dalle costruzioni esistenti sul fondo confinante. Una sopraelevazione, comportante un aumento della volumetria e della superficie di ingombro, non può qualificarsi come risanamento conservativo o ricostruzione dei volumi edificabili preesistenti, i quali hanno solo lo scopo di conservare i precedenti valori“.

Sottolineato ciò, i Giudici di legittimità specificano come “per mantenere una costruzione a distanza minore di quella prescitta dalla legge, non è sufficiente un’autorizzazione unilaterale del proprietario del fondo vicino che acconsenta alla corrispondente servitù, ma è necessario un contratto – essendo inidoneo, per i diritti reali, un atto ricongnitivo – che dia luogo, appunto, alla costituzione di una servitù prediale, ex art. 1058 c.c., risolvendosi in una menomazione di carattere reale per l’immobile che alla distanza legale avrebbe diritto, a vantaggio del fondo contiguo che ne trae il corrispondente vantaggio” (Cass. civ. sez. III, 29.04.1998, n. 4353).

In particolare, per l’esistenza di una valida volontà costitutiva di una servitù in deroga alle distanze delle costruzioni, è necesssario che la stessa emerga da una “dichiarazione scritta da cui risultino i termini precisi del rapporto reale tra i vicini, nel senso che l’accordo faccia venir meno il limite legale per il proprietario del fondo dominante, che così acquista la facoltà di invadere la sfera esclusiva del fondo servente“.

In ogni caso, tale facoltà sarebbe comunque limitata alle sole distanze legali dettate dal codice civile all’art. 873 c.c., a mente del quale “le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore“.

La S.C. aderisce infatti a quell’orientamento secondo cui “le deroghe pattizie sono consentite relativamente alle norme sulle distanze di cui all’art. 873 c.c., dettate a tutela dei reciproci diritti soggettivi dei singoli, non altrettanto può dirsi in relazione alle disposizioni regolamentari in materia di distanze, poichè in tal caso la concessa azione di riduzione in pristino è volta a mantenere in vita un potere privato, concorrente con quello amministrativo, idoneo ad assicurare, attraverso la rimozione dell’opera illegittima, lo stesso risultato pratico perseguibile con i propri mezzi dalla P. A. e la completa attuazione dell’interesse generale alla realizzazione del modello urbanistico prefigurato: ciò a maggior ragione quando la norma regolamentare imponga di calcolare la distanza dal confine tra i fondi“.

LA DECISIONE

Con sentenza 21.02.2021, n. 3684 la Corte di Cassazione, seguendo le considerazioni poc’anzi evidenziate, ha rigettato il ricorso, confermando l’ordine di demolizione contenuto nella impugnata sentenza della Corte d’Appello di Brescia e sottolineando che “la regolarità urbanistica del fabbricato non rileva ai fini della legittimità della costruzione per il rispetto delle distanze. D’altro canto, le prescrizioni in tema di distanze legali contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati; tali deroghe, se concordate, sono invalide, nè tale invalidità può venire meno per l’avvenuto rilascio di concessione edilizia, poichè il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici“.